ARCE, Delitto Serena Mollicone – Sono trascorsi oltre 24 anni ma nel secondo processo d’appello per la scomparsa e la morte di Serena Mollicone va rinnovata l’istruttoria dibattimentale riascoltando alcuni testi comparsi nel corso del primo processo e nel primo d’appello e convocando altre persone che non sono mai state ascoltate. Non ha tradito la prima d’udienza del secondo processo d’appello che si è svolto mercoledì mattina davanti la terza sezione della Corte d’Assise d’appello di Roma dopo che lo scorso marzo la prima sezione della Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio le sentenze d’assoluzione dei tre principali imputati per il delitto della studentessa di Arce avvenuto il 1 giugno 2001, Franco, Marco e Annamaria Mottola. I giudici della suprema Corte avevano chiesto di motivare meglio l’assoluzione dei tre componenti della famiglia di Teano ma, a sorpresa, le parti civili e soprattutto la Procuratrice generale, Deborah Landolfi, hanno chiesto al presidente Galileo D’Agostino di sentire oltre 60 persone tra consulenti e testimoni provocando un durissimo scontro a distanza con i legali dei tre imputati. Riaprire l’istruttoria dibattimentale significa, per esempio, sentire il Comandante Gabriele Tersigni. Si tratta dell’ufficiale che nel 2004 prese il posto del comandante Franco Mottola alla guida della stazione di Arce dei Carabinieri, il luogo in cui – secondo la versione accusatoria della Procura di Cassino – Serena sarebbe stata uccisa dai componenti della famiglia Mottola perché temevano che la ragazza denunciasse Marco per spaccio di droga. Perché Tersigni? Al neo comandante Santino Tuzi confidò di aver visto Serena Mollicone entrare in caserma il 1 giugno del 2001, dichiarazioni che, formalizzate e poi ritrattate in Procura, fece prima di suicidarsi nell’aprile 2008.

La Pg è andata oltre: ha chiesto, per esempio, una nuova perizia sul buco trovato sulla porta (definita l’arma del delitto) dell’alloggio a trattativa privata della caserma di Arce, per stabilire la compatibilità con il pugno di piatto che avrebbe sferrato il maresciallo Franco Mottola durante il litigio – episodio questo confermato – ma con il figlio Marco. Questa richiesta ha fatto accendere gli animi e, dopo diversi momenti di tensione, il presidente D’Agostino, al termine di un’udienza durata oltre quattro ore, ha deciso di rinviare il processo al 19 novembre (una successiva udienza è stata calendarizzata per il 17 dicembre provando poi a stabilire “due, tre udienze al mese, per arrivare alla sentenza in primavera”) quando renderà nota la scelta se accogliere le richieste delle parti civili e della Procura generale.
In caso di risposta positiva il processo di fatto riprenderà daccapo con le audizioni di Tersigni (nel duplice ruolo di teste di Pg e di amico del confidente Santino Tuzi), di Marco Malnati, amico di Tuzi, di Sonia Da Fonseca, di Massimiliano Gemma, di Annarita Torriero, dell’appuntato Venticinque e chi redasse l’ordine di servizio (per collocare il comandante Mottola all’esterno della Caserma nell’ora presunta del delitto): quindi Lancia, Pasquale, Polletta, il maresciallo Evangelista e Maria Tuzi, figlia del brigadiere suicida.
Alla Procura generale interesserebbe sentire dal vivo l’amante di Tuzi ed il maresciallo Venticinque Tersigni dopo che era stato chiesto, nel corso delle indagini, di acquisire le intercettazioni – una ambientale e una telefonica- in cui c’è una conversazione tra i due. Una registrazione allora fatta su una cassetta. Che per questo non può essere fatta riascoltare. Chiediamo di ascoltare Tersigni, all’epoca comandante di stazione, che allora raccolse le confidenze di Tuzi su quanto riferito a sit, prima del suicidio. Da ascoltare come amico, confidente. Non come pg”.
Quello iniziato mercoledì è un delicato processo d’appello…”Credo sia necessario risentire alcuni testimoni – ha aggiunto la Pg – per arrivare alla decisione, valutando la attendibilità degli stessi. Ci sono testimoni introdotti nel giudizio ma mai ascoltati. Necessario – ha ribadito – sarà ascoltarli su singole circostanze” relative all’ingresso di Serena in caserma come indicato da Tuzi. Tra i primi a guadagnare l’aula della Corte d’assise d’appello sono stati i familiari di Serena: la sorella Consuelo e lo zio Antonio. Presente anche Maria Tuzi, la figlia del brigadiere Santino. Assenti invece Franco e Marco Mottola, sempre presenti durante il primo processo di Appello. All’esterno della città giudiziaria è stato affisso uno striscione con su scritto “Giustizia per Serena, mai più storie di ordinaria violenza”.
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