LATINA – Latina vive giorni di tensione altissima. Quattro esplosioni in rapida sequenza – tra via della Darsena, via Guido Rossa e viale Nervi – hanno squassato i quartieri popolari e segnato un salto di qualità nell’ostentazione del potere criminale. L’ipotesi investigativa più accreditata è quella di uno scontro fra due fazioni per il controllo delle piazze di spaccio: “vecchi” gruppi storici, già colpiti in passato da inchieste giudiziarie, e “nuove leve” cresciute all’ombra del mercato della droga e pronte a occupare spazi.
Gli ordigni – artigianali, con contenitori metallici riempiti di polvere pirica e schegge – non hanno provocato vittime solo per puro caso. Le deflagrazioni sono avvenute sotto palazzi abitati, accanto a porticati, perfino in contesti in cui la possibilità di colpire passanti e residenti era tutt’altro che remota. A viale Nervi, oltre all’ultimo ordigno, due auto sono state incendiate; alle “Arlecchino” si contano due esplosioni e un principio d’incendio in una palazzina, in chiave intimidatoria.
Quartieri sospesi tra paura e resistenza civile
Sui portici di viale Nervi, la vita ha il passo corto. «Bisognava intervenire prima», sospira la signora Enza, che lì vive da anni. Finestre socchiuse, strade quasi deserte, gruppetti di ragazzi che fotografano macerie e serrande piegate. «Qui si spaccia, lo sanno tutti da anni», racconta una residente delle case “Arlecchino”, che preferisce l’anonimato per timore di ritorsioni. «Sono ragazzi giovani. I controlli? Troppo pochi: si è sottovalutato e adesso è degenerato». Nell’eco delle esplosioni affiorano anche leggende metropolitane e vanti fuori luogo (“conosco Tizio, conosco Caio”), tracce di una subcultura che normalizza la presenza delle famiglie note alle forze dell’ordine e scambia per reputazione ciò che è intimidazione.
Il messaggio criminale – far vedere “chi comanda” al quartiere, ai rivali e anche allo Stato – punta proprio sulla teatralità: esplosioni ravvicinate, orari che massimizzano l’effetto paura, luoghi simbolici della quotidianità popolare. Ma nei cortili la richiesta è una: tornare a vivere senza sentire il rumore degli elicotteri e senza incrociare pattuglie a ogni isolato, perché la sicurezza non sia un’emergenza, ma un dato di fatto.
Le piste degli inquirenti
Le indagini, coperte dal massimo riserbo, incrociano due filoni. Da un lato i gruppi “storici”, la cui mappa è ben nota: dinastie e reti familiari colpite da processi e condanne, che però mantengono relazioni e know-how. Dall’altro, nuclei di giovani che – dopo episodi violenti finiti senza esiti penali per via della minore età – sono cresciuti e oggi ambiscono a una fetta di mercato. Nella dinamica ricostruita, la prima bomba potrebbe essere stata un “avviso” della vecchia guardia; la risposta è arrivata presto e forte, a certificare che la partita è aperta.
In questo scenario si inserisce anche l’esecuzione della misura di prevenzione a carico di Antongiorgio Ciarelli: sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Latina per tre anni, disposta già nel 2013 e divenuta esecutiva dopo la lunga detenzione (2012-2024) e alla luce di recenti minacce all’allora pm DDA Luigia Spinelli (oggi procuratore facente funzioni a Latina). Un provvedimento che segnala l’attenzione delle autorità su figure considerate socialmente pericolose, mentre è ancora pendente il processo “Purosangue” per il quale la procura aveva chiesto ulteriori anni di pena.
La stretta dello Stato: “Alto impatto” sul territorio
Dopo l’ultima deflagrazione a viale Nervi, è scattata un’operazione interforze ad Alto impatto. In campo praticamente tutte le unità disponibili: Polizia di Stato (Volanti, Mobile, Stradale, Reparti Prevenzione Crimine, unità cinofile), Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia Locale. Dall’alto, il supporto dell’elicottero del Reparto Volo di Roma ha pattugliato per ore il cielo sopra la città. Decine e decine di persone sono state controllate nelle aree sensibili, presidi a tappeto nelle tre zone della “geografia delle esplosioni”.
La Questura parla di un piano di intensificazione stabile della prevenzione e della repressione, con tre direttrici: controllo costante, presenza fisica nei quartieri più critici e ascolto delle esigenze della cittadinanza. L’obiettivo è interrompere la spirale di ritorsioni prima che un ordigno faccia il salto di qualità dalla dimostrazione di forza all’omicidio.
La risposta istituzionale: 300 nuove telecamere, più uomini e presidi
Il fronte politico-istituzionale si muove su più piani. La sindaca Matilde Celentano ha scritto al presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, e al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, chiedendo due misure chiave: innalzare la fascia della Questura di Latina e riattivare la Polfer a Latina Scalo. Il presidente Rocca è arrivato in città per un confronto a porte chiuse con amministrazione e rappresentanti parlamentari locali, annunciando l’installazione di 300 nuove telecamere che si aggiungeranno alle circa 50 attuali, giudicate largamente insufficienti.
«È un segnale lungo la strada della sicurezza e contro i tentativi di infiltrazione criminale», ha sottolineato Rocca, evidenziando che gli episodi «non nascono oggi» e richiedono «tutti i mezzi a disposizione dello Stato». La sindaca Celentano ha rimarcato: «L’attenzione è massima: Comune, Regione e Governo ci sono. Vogliamo confinare fatti che non appartengono alla nostra comunità». Sul rafforzamento del dispositivo di sicurezza si sono espressi anche l’assessore regionale al Bilancio Giancarlo Righini – che ha garantito impegno nel reperire risorse per la videosorveglianza – e il senatore Nicola Calandrini, favorevole all’innalzamento di fascia della Questura e alla riattivazione della Polfer. Dal consigliere regionale Enrico Tiero è arrivata la richiesta di una task force permanente per la sicurezza urbana.
Perché le telecamere (da sole) non bastano
L’estensione della videosorveglianza è un tassello, non la soluzione. A Latina l’architettura urbana dei quartieri popolari – porticati, cortili, vie di fuga – e la densità abitativa rendono difficile un controllo “pieno” solo con l’occhio elettronico. Servirà una manutenzione attenta, integrazione con le banche dati e soprattutto un impiego intelligente dei flussi (lettori targhe, analisi dei pattern, allarmi su soste e movimenti anomali). Ma la leva decisiva resta l’azione sul campo: investigazioni mirate, contrasto patrimoniale ai clan, arresti, misure di prevenzione, controlli amministrativi su locali e immobili, fino al lavoro sociale che limi il bacino di reclutamento delle nuove leve.