Latina / Processo per la morte del bracciante Satnam Singh, l’attacco della Fai Cisl

LATINA, Borgo Santa Maria – “Quanto emerso a Latina dalla prima udienza sul caso dell’uccisione del bracciante indiano Satnam Singh, con il suo datore di lavoro che avrebbe commentato ‘è morto, dove lo butto?’, è un tratto inquietante che conferma di nuovo la gravità della vicenda e il carattere disumano del sistema del caporalato, dove sfruttando la vulnerabilità delle fasce sociali più deboli si annullano totalmente il rispetto per la persona e la dignità del lavoro”. Lo ha affermato il segretario generale della Fai Cisl Onofrio Rota commentando quanto è avvenuto martedì la prima udienza del processo iniziato a Latina sulla morte, avvenuta nel giugno 2024, di Satnam Singh nelle campagne di Borgo Santa Maria, a Latina, ai confini con il comune di Cisterna.. Per Rota mentre in Europa si preannuncia una Pac post 2027 con meno risorse e più incentrata sulle dimensioni dei terreni agricoli “torniamo a ripetere a gran voce che invece serve un’agricoltura europea che faccia leva sulla qualità del lavoro. Rimane dunque essenziale che la clausola sociale inserita nella Pac sia confermata e attuata in tutti i Paesi, per garantire che nessuno finanzi con i soldi pubblici aziende truffaldine e imprenditori senza scrupoli che alimentano il lavoro irregolare e la concorrenza sleale”. “Serve inoltre una seria presa di posizione sul tema dell’immigrazione: – ha aggiunto Rota – sono circa 200mila i migranti entrati regolarmente in Italia e divenuti irregolari ma impiegati ogni giorno nelle nostre campagne, esattamente come accaduto a Satnam e tanti suoi connazionali impiegati nell’agro Pontino, a queste persone bisogna garantire forme di regolarizzazione che garantiscano l’emersione dall’invisibilità e la liberazione dai circuiti dell’illegalità”, ha concluso l’esponente della Cisl.

Il dibattimento – l’unico imputato davanti la Corte d’Assise di Latina è l’imprenditore Antonello Lovato, difeso dagli avvocati Mario Antinucci e Stefano Perotti- martedì era iniziato con l’audizione del medico legale, la dottoressa Maria Cristina Setacci che per conto della Procura svolse l’autopsia sul cadavere del bracciante indiano e dunque valutò le condizioni cliniche dalla vittima e i fattori che lo portarono alla morte dissanguato dopo l’amputazione di un braccio. Secondo la dottoressa Setacci Satnam “con manovre adeguate e cure tempestive si sarebbe potuto salvare”. Con un trasporto al pronto soccorso di Latina, considerando anche trenta minuti di tempo dal luogo di lavoro all’ospedale, i sanitari avrebbero potuto bloccare lo shock emorragico in corso e re-infondere sangue. Ma perfino una cinghia stretta intorno al braccio amputato poteva essere preziosa. Si perse del tempo che avrebbe forse salvato la vita al bracciante indiano. La perdita di sangue più massiva – ha aggiunto la dottoressa Setacci rispondendo alle domande del sostituto Procuratore Marina Marra – aveva riguardato proprio il braccio che provocò lo shock emorragico. L’altra lesione lacero contusa al capo non provocò il coma. La priorità insomma era proprio bloccare quella copiosa perdita di sangue”.