ARCE, Omicidio Mollicone – È subito scontro tra le difese e le parti civili dopo che la terza sezione della Corte d’Assise d’appello nella seconda udienza tenutasi mercoledì nel processo bis di secondo grado, rinnovando di fatto l’istruttoria, ha ammesso come teste nel nuovo processo d’appello per la scomparsa e l’omicidio di Serena Mollicone l’ex Comandante della Stazione dei Carabinieri di Arce Gabriele Tersigni, il successore di Franco Mottola (imputato insieme al figlio Marco e alla moglie Annamaria) alla guida della Caserma dei Carabinieri di Arce dove – secondo l’accusa – Serena stata uccisa il 1 giugno 2001.
Per il collegio difensivo della famiglia Mottola definire – come hanno fatto diversi organi d’informazione – Tersigni “testimone chiave non è corretto”. Tersigni è stato inserito nell’elenco dei testimoni da ascoltare perché avrebbe ricevuto una confidenza da Santino Tuzi, poi suicida nell’aprile 2008, secondo la quale avrebbe visto Serena entrare nella Caserma dell’Arma di Arce nella tarda mattinata del giorno in cui scomparve e fu uccisa. Il portavoce del collegio difensivo, il criminologo Carmelo Lavorino, è un fiume in piena nei confronti di “certi personaggi per l’omicidio di Serena Mollicone non cercano la verità e la giustizia, ma solo tornaconti personali di diversa tipologia, fra cui la visibilità mass mediatica e i titoloni per non sprofondare nel meritato oblio. Tersigni sarà ascoltato e potrà solo riferire che Tuzi nel 2008 gli avrebbe detto (fra contraddizioni e in seguito a pressioni psicologiche di vario tipo) di avere dichiarato agli inquirenti che una ragazza era entrata nella Caserma dei Carabinieri di Arce, vestita con maglietta, pantaloncini, felpa e borsa come Serena Mollicone, forse il 1° forse, forse in altro giorno”.
Lavorino non definisce questa una “super-notizia con il super-teste o teste chiave”. “Ogni tanto – aggiunge per il Giallo di Arce un gruppo di faziosi colpevolisti si inventa qualche super-testimone e/o qualche super-notizia, dimostrando di sapere nuotare ottimamente nel mare delle falsità e delle balle mediatiche. Tuzi non ha detto a Tersigni che quella ragazza che avrebbe visto entrare in caserma (quale giorno?) era Serena Mollicone, è una deduzione molto di parte e faziosa del Maresciallo Tersigni che ci appare come colpevolista convinta. Qualche persona faziosamente ed erroneamente propala la balla che poiché Tuzi nel 2008 descrive com’era vestita Serena nel 2001, di conseguenza dice la verità perché non poteva sapere come Serena fosse stata vestita quando venne ritrovata cadavere in Fontecupa il 3 giugno 2001: si tratta – aggiunge Lavorino – una bulla terribile e faraonica”.

Santino Tuzi era un Carabiniere, aveva partecipato alle indagini e dal 3 giugno 2001 “sapeva esattamente come fosse vestita Serena al momento della scomparsa e del ritrovamento. E della borsetta scomparsa ne conosceva i connotati come tutti: era di dominio Pubblico. Allora, chi va strombazzando che Tuzi sapeva come era vestita Serena quell’1 giugno 2001 solo e perché l’aveva vista entrare in caserma – accusa il professor Lavorino – mente spudoratamente sapendo di mentire, così come è consapevole di prendere in giro l’opinione pubblica e i giornalisti, perché nel 2008 tutti sapevano come Serena fosse vestita esattamente quel giorno.” A dire del portavoce del collegio di difesa della famiglia Mottola esiste un’”ulteriore balla”. Viene strombazzato che Tuzi aveva confidato a Tersigni “bla… bla… bla…”. Il buon giornalista deve scrive “avrebbe confidato” e non “aveva”. Attenzione, il condizionale dubitativo è d’obbligo. Il problema è che qualche giornalista abbocca ancora alle accuse strombazzate, ai pettegolezzi, alle illazioni senza prove laddove la notizia arreca danno ai Mottola”. E il secondo processo d’appello, dopo il rinvio sentenziato lo scorso marzo dalla Cassazione, deve ancora iniziare.
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