Arce / Delitto Serena Mollicone, le rivelazioni di Evangelista e le critiche del criminologo Lavorino

ARCE, Delitto Serena Mollicone – Nonostante la pausa Natalizia stanno facendo discutere le dichiarazioni rese nell’ultima udienza del secondo processo d’appello per la scomparsa e la morte, avvenuti il 1 giugno 2001, di Serena Mollicone. Su decisione della Corte d’assise d’appello era stato ascoltato Gabriele Evangelista che nel che nel 2004 prese il comando della caserma di Arce, luogo in cui la studentessa 18enne sarebbe stata uccisa perché orientata a denunciare per spaccio Marco Mottola che, insieme al padre Franco (all’epoca dei fatti era Comandante della Stazione di Arce) e alla madre Annamaria, sono di nuovo imputati per uno degli ultimi “misteri d’Italia”. Le dichiarazioni di Evangelista hanno fatto insorgere in questi giorni di festa il collegio difensivo della famiglia Mottola in relazione alle confidenze postume fattegli dal brigadiere Santino Tuzi che, morto suicida nell’aprile 2008, disse ai pm di Cassino (per poi fare dietro front) di aver visto Serena la mattina della sua morte nella caserma in cui abitava la famiglia del comandante originario di Teano. A presenziare al racconto confessione di Tuzi il 28 marzo 2008 nel corso della deposizione che fece nella caserma di Arce ci fu anche luogotenente Marco Sperati, in servizio al reparto operativo del comando provinciale di Frosinone come addetto al sopralluogo e repertamento all’epoca dell’omicidio di Serena Mollicone. Anche Sperati è stato sentito dai giudici d’appello nel corso del secondo processo d’appello e, rispetto alle rivelazioni che fece quel giorno Tuzi, ha sottolineato testualmente: “Non ci aspettavamo una dichiarazione del genere. Tuzi spiegò al pm cosa accadde il 1 giugno 2001 e nel corso di una pausa uscì nel corridoio. Io ero lì. Tuzi raccontò per filo e per segno come era vestita Serena Mollicone. Ricordo che disse che aveva visto la ragazza entrare in caserma e mi ha colpito la descrizione della borsetta che fece, disse che aveva delle frange, mi colpì perché la borsetta non venne mai ritrovata”. L’omicidio di Serena è stato accompagnato – secondo la Procura generale e ancorprima da quella inquirente di Cassino – nelle fasi successive da depistaggi che avrebbe visto coinvolti gli stessi Carabinieri. A confermare questa tesi, sempre respinta dalla famiglia Mottola, è stato ancora nella sua ultima audizione dal Maresciallo: “Nel 2007 io consegnai l’informativa a Caprio, quando lui me la restituì mi consigliò di rimodularla, dovevo togliere le parti salienti che riguardavano i carabinieri. Io ho preso l’ordine, l’ho fatta rileggere al mio collaboratore, l’ho firmata di nuovo e l’ho riconsegnata al nucleo investigativo. Ho ritenuto di non fare nessuna modifica”. “Visto che era un reato di omicidio io la trasmisi al nucleo investigativo che avrebbe dovuto fare dei riscontri tecnici”, ha aggiunto. Alla domanda perché non abbia mai rivelato questo dettaglio fino a oggi Evangelista ha risposto che “non gli era stato mai chiesto”. Nell’informativa, ha spiegato, parlavo “dell’attività di depistaggio” e “delle anomalie che avevo rilevato” facendo accertamenti sugli ordini di servizio, sui tabulati telefonici e sentendo persone”. Contro il Maresciallo Evangelista, il “grande accusatore”, si è scagliato il portavoce del collegio difensivo della famiglia Mottola, il criminologo Carmelo Lavorino: “Abbiamo preso atto del vuoto assoluto a livello investigativo… Evangelista è il fautore della fallace teoria della “pista Mottola”, nata da un’infausta intuizione, da illazioni e fissazioni investigative, poi prosperata su una serie di attività che non arrivarono a nulla. Addirittura l’ipotesi iniziale era che l’assassina fosse la signora Annamaria Mottola, madre di Marco e moglie del maresciallo Franco…”
Il processo d’appello bis per l’omicidio di Serena riprenderà il prossimo 19 gennaio con l’audizione di cinque testi dell’accusa (tra cui la presunta amante di Santino Tuzi) ed il criminologo Lavorino annuncia che i Mottola “risponderanno a tutte le domande che gli saranno formulate”. “Rendo noto per chiarezza e per tacitare sia quelle fazioni urlanti a mo’ di antica folla sanguinaria che gode nel vedere l’imputato prima torturato e poi giustiziato solo perché sospettato, sia quelle fazioni che hanno applicato verso i Mottola l’aberrante schema “Prima giustiziateli, poi processateli”, che i signori Franco, Marco ed Annamaria Mottola – ha osservato Lavorino – si faranno esaminare in aula: questa è la loro decisione, questa è la decisione del Pool difensivo. Se non lo faranno o se si avvarranno della facoltà di non rispondere? Io mi dimetterò dall’incarico di consulente e di coordinatore del Pool difensivo.”. Ancora Lavorino è un fiume in piena quando ricorda “ai semi-ignoranti covanti odio che è diritto degli imputati rilasciare in ogni stato del dibattimento dichiarazioni spontanee, diritto che solo i faziosi e i sadici-giustizialisti-forcaioli amano aborrire, a prescindere. E’ diritto degli imputati avvalersi della facoltà di non rispondere, e che solo i faziosi e i sadici-giustizialisti-forcaioli amano aborrire tale diritto, a prescindere. Con questo ci auguriamo due eventi: che i forcaioli, i giustizialisti, i cacciatori di streghe, i faziosi, gli appartenenti al “Caga”(Comitato Affari Giallo di Arce) si zittiscano una volta per tutte e facciano lavorare in pace magistrati, parti processuali e consulenti e – conclude il criminologo di Gaeta – che si cerchi la vera verità e si renda giustizia a Serena Mollicone, evitando vergognose prese di posizione e vergognose fissazioni che hanno preso a schiaffi logica, scienza, buon senso e verità e i famigliari della povera vittima”.