Formia / Chiesetta medioevale di Gianola, interviene il direttore dell’Icr Luigi Oliva

FORMIA – Si avvicinano i tempi per la ripresa dei lavori al cantiere di scavo della chiesetta medievale di Gianola. In vista dell’ampliamento della campagna archeologica, le vestigia sono state messe a disposizione del pubblico, sia pur per poche ore, a fine luglio, durante una apertura straordinaria https://www.lacronaca.it/178025/citta/formia-chiesetta-medievale-di-gianola-entusiasmante-prima-apertura.html. Appassionati di archeologia provenienti da tutto il Golfo, hanno apprezzato l’intenzione del sindaco di Formia Gianluca Taddeo di finanziare con fondi comunali una seconda campagna di scavo già nel mese di ottobre. L’incoraggiamento ad andare avanti è arrivato al commissario del parco Riviera D’Ulisse Massimo Giovanchelli ed al soprintendente Alessandro Betori anche dalle testimonianze della presenza umana databili successivamente all’abbandono della villa di Mamurra, all’interno della quale è impiantato l’edificio sacro.

Una pagina di storia millenaria portata alla luce dal team di archeologi dell’università Sant’Orsola Benincasa, guidati dal professor Federico Marazzi e da Cesare Crova dell’Istituto centrale per il restauro (Icr). Precede il X secolo, come testimoniano le diverse stratificazioni sottostanti l’affresco ascrivibile all’Ipata Giovanni, ed arriva fino al 1800 come suggeriscono i corpi dei due fanciulli seppelliti esternamente alla chiesetta.

“Noi – ha detto l’architetto Luigi Oliva, direttore dell’Icr, organo del Ministero della Cultura – ci siamo occupati della conservazione di quanto emerso dalla archeologia. Lavoriamo con diverse realtà, come il parco di Pompei e di Ostia antica, ed in tutti questi ambiti c’è una volontà di fare ricerca e creare questa condizione per cui i restauratori e gli archeologi, lavorando insieme, imparano ciascuno da quello che fa l’altro. Gli archeologi imparano a conservare scavando ed i restauratori ad intervenire poi su quello che è stato scavato. Sicuramente è interessante tutta la parte decorativa affrescata. Sono dei piccoli Lacerti, ma sono molto importanti perché, in un contesto ‘povero’, in cui non ci sono materiali di scavo rilevanti, come suppellettili o altri elementi datanti, l’affresco diventa l’elemento che ci consente di capire la datazione e gli usi di quanto si viene a trovare. E quindi conservarli e magari renderli fruibili ‘in situ’, cioè senza doverli staccare spostandoli altrove, è la grande sfida che stiamo cercando di affrontare. Tra i materiali ci sono anche delle ceramiche. Sono materiali che vengono studiati dagli archeologi, quelle più rilevanti, dove sarà possibile ricomporle, saranno ricomposte, e quelle andranno sicuramente conservate e, spero, messe in mostra in un museo. Mentre la caratteristica dell’affresco è quella di stare insieme alle strutture e quindi di continuare la memoria del luogo per il visitatore”.

Che cosa vi aspettate dallo studio di questi reperti? “L’archeologia, così come la conservazione, quando si analizzano le tecniche di realizzazione, serve a collocare nella storia quello che si viene a trovare. E quindi, una volta collocato nella storia, diventa parte della memoria del luogo. Quindi si arricchisce la storia del luogo e si incrementa l’identità di chi ci vive e di chi la vuole mostrare”.

Si può parlare in questo caso di una storia millenaria? “E’ una storia plurimillenaria, perché abbiamo avuto conferma adesso che ha avuto una continuità oltre l’epoca romana e questa continuità stiamo cercando di esplorarla per capire fino a dove si spinge e quali sono state le funzioni”.

Ci possiamo aspettare ad ottobre delle novità? “Ad ottobre perché sarà estesa l’area di scavo ed avremo sviluppato delle scelte di restauro che permetteranno di capire come conservare questi elementi”.