Gaeta / Sequestrato a bordo della Savina Caylyn, Verrecchia chiede un risarcimento

GAETA – Lo Stato risarcisca l’ormai 76enne Antonio Verrecchia, l’ex direttore di macchina di Gaeta che rimase vittima, dall’8 febbraio al 21 dicembre 2011, di uno dei misteri italiani degli ultimi anni, l’atto di pirateria internazionale che coinvolse la “Savina Caylyn” nelle acque somale dell’Oceano indiano. E’ la richiesta che ha formalizzato l’ex marittimo di Gaeta che, assistito dagli avvocati Vincenzo e Matteo Macari, ha intentato un procedimento davanti il Tribunale civile di Roma che si pronuncerà il prossimo 23 febbraio. Questa richiesta di Verrecchia è finalizzata a ribaltare sul piano civile quanto ha senteziato il Tribunale dei Minorenni di Roma secondo il quale non è da considerarsi un atto di pirateria quello consumato ai danni del mercantile di proprietà della società armatrice “Fratelli D’Amato” di Napoli.

Gli avvocati Macari hanno dimostrato il contrario. L’hanno fatto allegando una serie informative dei Ros e della Digos secondo le quali Verrecchia fu vittima di una drammatica esperienza, professionale ed umana, costellata da minacce e violenze, fisiche e psicologiche, mentre qualche autorità italiana, dopo dieci lunghi mesi di prigionia, “ha pagato – ed un’accusa ben circoscritta evidenziata nell’esposto al Tribunale civile di Roma- un riscatto”, pari a 11 milioni e mezzo di dollari, che sarebbe servito, in cambio della liberazione della nave e del suo equipaggio, a finanziare tre pericolose organizzazione terroristiche, di ispirazione islamica, operanti nel corno d’Africa. Verrecchia nello specifico ha impugnato una serie di provvedimenti e, tra questi, il decreto del competente dipartimento del Ministero dell’interno (il numero 64/2025) che aveva rigettato la richiesta di concessione dei benefici economici previsti a favore delle vittime del terrorismo in base alla legge numero 206/2004. La difesa dell’ex marittimo di Gaeta ha chiesto di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per rilevare appunto l’anticostituzionalità dell’articolo 1 della legge 206 per “Palese difetto di ragionevolezza e nitida violazione dell’articolo 3 della Costituzione” nella parte, appunto, in cui non estende espressamente i benefici anche alle vittime dei reati di pirateria.

Il Tribunale civile di Roma è stato anche invitato ad accertare “l’evidente violazione dei sacrosanti principi sanciti dalla convenzione Europea per i diritti dell’uomo” e di conseguenza, a mandarle il fascicolo “affinche sanzioni il nostro paese a causa del vuoto di tutela determinato con differenziazioni prive di qualsiasi compiuto senso giuridico”. Verrecchia nel corso di questi anni è diventato un altro uomo: ha perso il lavoro e le sue condizioni psicopatologiche si sono “ulteriormente e progressivamente deteriorate generando una situazione di sostanziale abbandono e scadimento dell’’io’”.

L’avvocato Macari ha chiesto più volte al Ministro degli interni di far esaminare questo caso alla commissione medica ospedaliera speciale sulle vittime del terrorismo perché, attraverso la convocazione di una visita medica, accerti le reali condizioni di salute di Verrecchia per appurare la sua peggiorata stabilità psico fisica. Le richieste sono statte numerose ma le risposte – a dire gli avvocati Macari – sono state assai imbarazzanti. Il Ministero degli Interni ha fatto sapere che il fascicolo del “signor Verrecchia è ancora in istruttoria poichè questa amministrazione centrale è in attesa degli imprenscidibili (!!!) accertamenti dei requisiti soggettivi in campo al richiedente”. Si tratta di “imprescindibili accertamenti” che accertino, dunque, i gravissimi fatti e condotte consumate all’ex marittimo di Gaeta di cui si sono occupati a più riprese i pm della Procura di Roma, competente per episodi di terrorismo internazionale.

Antonio Verrecchia – Arrivo a Gaeta dopo la liberazione

La situazione è diventata Pirandelliana e l’avvocato Macari ha rispolverato una lettera della stessa commissione medica del Ministero gli Interni: “Si rappresenta che non risulta tuttora pervenuta a questa Cmo la pratica relativa al signor Verrecchia”. Tradotto: Il Viminale necessita di “imprescindibili accertamenti medico legali per poter compiutamente valutare la fondatezza della domanda ed il ricorrere dei requisiti di legge, accertamenti che non giungeranno mai se lo stesso Ministero degli Interni, come evidenziato dalla sua stessa commissione, non rimette il fascicolo completo dei documenti a corredo”. I legali dell’ex direttore di macchina vanno giù duro quando ribadiscono come la “giustizia non è, allo stato, riuscita né ad individuare i mandanti, né gli organizzatori ed esecutori del sequestro”.
. Per lo stato italiano l’unico indagato con l’accusa di sequestro di persona e lesioni gravissime compiute per finalità di terrorismo internazionale è stato Mohamed Farah, il somalo ora 30enne, arrestato dai Ros dei Carabinieri e dalla Digos della capitale presso il centro di permanenza per i rimpatri ‘Pian del Lago’ di Caltanissetta, dove aveva chiesto lo status di rifugiato all’Italia. Secondo la tesi accusatoria mossagli da piazzale Clodio il giovane somalo avrebbe svolto un strategico ruolo di primissimo piano nella gestione del sequestro, in particolare, di cinque marittimi italiani, tra questi, appunto, Antonio Verrecchia di Gaeta.

Il giovane aveva dichiarato, attraverso gli avvocati difensori Vittorio Platì e Duglas Duale, di essere nato nel 1995 e, dunque, nel 2011 aveva sedici anni. I giudici della prima sezione Corte d’Assise – il pm d’udienza era stato il dottor Sergio Colaiocco, secondo il quale il somalo sarebbe nato il 4 aprile 1993 come ammesso dal giovane al momento della prima identificazione subito dopo lo sbarco in Italia ed in occasione della convalida del fermo davanti il Gip del Tribunale di Castrovillari e finanche in occasione del rinvio a giudizio disposto dal Gup del Tribunale di Latina il 2 luglio 2018 – gli hanno creduto e nell’ultima udienza su sono dichiarati incompetenti. Neanche i periti nominati dalla Corte d’Assise erano riusciti a capire quanti anni abbia realmente ora (e all’epoca del sequestro) Farah e così i giudici avevano rimesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che, a distanza di anni, si è pronunciato ma salomonicamente è arrivato ad una imbarazzante conclusione: quello della “Savina Caylin” non fu un atto di pirateria. Gli avvocati Macari hanno avviato ora un’interlocuzione con una deputata che da mesi si sta occupando di faccende gaetane: è l’Onorevole Federica Onori, di Azione, che, dopo aver esaminato il carteggio inviato al Tribunale civile di Roma, si è detta pronta a presentare un’interrogazione parlamentare ai Ministri degli Esteri e degli Interni, Antonio Tajani e Matteo Piantedosi.